I caimani: la voce dei ragazzi

di Raffaele Rivieccio

Il corso sul linguaggio dell’audiovisivo ed il laboratorio assistito di produzione cinematografica che ha svolto il Liceo Ginnasio Orazio, in collaborazione con i formatori dell’Associazione Culturale Il Labirinto, ha portato all’ideazione ed alla realizzazione del cortometraggio di docufiction “I caimani” per la regia di Andrea Rusich ma che ha visto tutti i partecipanti al laboratorio, impegnarsi in ruoli creativi e tecnici, sia davanti che dietro la telecamera. La nostra chiacchierata è con Flavio Licori, protagonista maschile del film, e con Daniele Deiana, tecnico del suono nel film.

Prima del laboratorio che ha condotto alla realizzazione de “I caimani”, voi avevate già partecipato a progetti scolastici sull’audiovisivo?

F.L.    Io no, almeno in progetti realizzati in modo così serio. Ho lavorato su di un videoclip, alle medie, ma era un prodotto  rudimentale. Per me, questo laboratorio è stata un’esperienza nuova e diversa.

D.D.  Anche io avevo fatto alcune presentazioni scolastiche utilizzando l’audiovisivo ma erano lavori molto semplici. Non usufruendo di particolari mezzi tecnici.

Questo progetto ha avuto diverse fasi creative, dalla ideazione all’ approfondimento tecnico fino alle vere e proprie riprese. Qual è il momento che vi ha più appassionato ed anche?

F.L. Avrei voluto collaborare al cortometraggio sia nei settori della regia che della sceneggiatura ma poi ho dovuto focalizzarmi sulla regia e mi sono perso la fase creativa della scrittura. Poi non ho potuto seguire neanche la regia perché sono stato scelto come attore protagonista. Non ho vissuto in prima persona i due ruoli che più mi interessavano. Le cose che più mi hanno colpito nella lavorazione sono state sia la difficoltà di scrivere una sceneggiatura, sia la grande strumentazione ed il tanto tempo necessari per costruire un set, un’ambientazione, le inquadrature. Non ritenevo così complessa sia la fase tecnica della registrazione, sia il processo creativo della scrittura.

D.D.  Io mi sono occupato del montaggio audio ed ero anche microfonista. E questa è una parte del film più nascosta. Mentre, ad esempio, nella sceneggiatura, i frutti sono visibili. Come con il soggetto ed ovviamente con gli attori. Mentre il montaggio audio, quello che senti, sembra sempre scontato. Quando sei all’aperto, con il vento, con tutti i rumori, come nella scena girata sul prato con i cani che abbaiavano, tu spettatore non ti rendi conto di quale lavoro ci sia dietro per pulire, correggere l’audio. Oltretutto io che avevo la cuffia con il microfono “boom”, ero stordito dai cani! Tutto sembra naturale nel suono ma così non è. Ad esempio, una scena con due personaggi chiusi in una stanza in cui senti chiarissime le voci nonostante il rimbombo. Poi mi sono occupato anche della musica, un settore del film molto affascinante. Eravamo diversi studenti a seguire la musica  ed ognuno di noi che affrontava un compito molto specifico. Un lavoro creativo in una dimensione di gruppo.

La qualità più evidente di questo laboratorio è stata quella di mettere in campo una vera e propria troupe ed un vero e proprio set. Una dimensione piccola ma già professionale. In una realtà in cui sia ragazzi che adulti guardano video in modo non critico e consapevole, questo progetto vi ha svelato la fatica ed il lavoro dietro il fare cinema?

F.L. Certo che ci siamo resi conto della fatica e del costo del cinema. Ora sto lavorando ad un altro cortometraggio, per il test di ingresso al Centro Sperimentale,  ma senza le strumentazioni che avevamo ne “I caimani”. E mi  accorgo che, ad esempio, una scena all’aperto non si può fare perché non c’è la giusta attrezzatura audio. La scena con poca luce non si può girare perché non ci sono le telecamere e le luci appropriate. Alla fine il corto sarà tutto ambientato in una sala con un proiettore in alto ed in una dimensione teatrale. Quando c’è un background tecnico con persone esperte, non improvvisate; ti rendi conto di quanto il processo creativo debba essere libero ma sempre rapportato ad i mezzi che hai a disposizione. Quindi, non scrivere cose “folli” in sceneggiatura che poi non sono fattibili. Ad esempio, nella fase di sceneggiatura, eravamo giunti all’idea di una narrazione parallela tra storie del passato e storie del presente. Ma poi si è arrivati ad una sintesi, proprio per una questione di tempi e di fattibilità. La narrazione è diventata frammentata ed alternata senza ripetizioni.

Questa esperienza vi ha anche suggerito una possibile prosecuzione professionale nel campo dell’audiovisivo?

D.D. Questa è stata una bellissima esperienza. Adesso vedo microfoni “boom” anche dove non ci sono e ragiono in termini di tecnica audio. Vedo i trasmettitori con i microfoni piccoli ovunque. È un lavoro che mi affascina molto e che mi piacerebbe continuare ma non come professione. Paradossalmente, è una cosa che mi piace talmente tanto che non voglio che diventi un lavoro. Nel lavoro potrei trovarmi a partecipare a film bruttissimi in cui ci sono dentro controvoglia. Vorrei invece che questa resti una passione, un hobby.

F.L.  Io, a differenza di Daniele, non vedo i “boom” ovunque ma dietro ogni immagine scorgo la scrittura. In un film penso a quel cretino che si è messo ad una scrivania ed ha delineato quello sbagliato personaggio; però poi quando vedo un protagonista, come quello di Joker, penso che gli sceneggiatori meritino una standing ovation dal mondo intero. Ed è dalla passione ideativa che nasce quello che vorrei fare nel futuro. In questo progetto, la dimensione di un gruppo, che dal nulla crea qualcosa, mi ha molto affascinato. Mi attrae la scrittura, la regia, ma anche se mi chiamano a fare la comparsa, va bene. È tutto il mondo del cinema che mi attrae.  

Questa esperienza da attore come l’hai vissuta?

F.L. In questo laboratorio, non mi aspettavo certo di  essere il protagonista maschile anche se sono convinto che la protagonista vera sia il personaggio femminile della storia. Appare più di me ed in scene più complesse. È stato complicato. Perfino io sono accusato dagli amici di essere narcisista ed egocentrico, ho avuto un po’ di timidezza ed imbarazzo a stare sul set davanti a tutti, davanti alle telecamere. Soprattutto nell’ultima scena, ormai oggetto di battute e meme nel nostro gruppo di amici: quella in cui dovevo sorridere a Flavia, la  compagna di lotta partigiana nel film,  e mi è venuto fuori un sorriso ebete e ridicolo e mi sono sentito un po’ un cretino.  

Quarant’anni fa, gli studenti ed i professori potevano lavorare con il cinema, nella migliore delle ipotesi, facendo vedere una videocassetta e commentando insieme il film. Oggi siamo nel pieno dell’era digitale con la possibilità, con uno smartphone, di fare riprese e postproduzione. Come vi immaginate, tra altri quarant’anni, i vostri figli impegnati in un progetto come questo che avete seguito voi?

D.D. Immagino i miei figli con un casco di realtà virtuale o che entrino direttamente dentro il film, guardandolo in tre dimensioni. Una fruizione sensoriale che diventerà anche quotidiana. Guardare un film come se tu fossi il protagonista, una sorta di sogno.

F.L. Parto dall’idea pessimista che i miei figli vivranno in un mondo brutto, dove forse non si potrà più neanche andare al cinema. Però, sperando che riusciremo tutti a trovare una buona piega di vita come comunità umana, penso che il cinema non cambierà tanto. Il cinema è un’arte che racchiude tutte le altre. E per quanto la tecnologia lo possa aiutare – nel processo tecnico cambierà molto, attrezzature molto più evolute ed ancora più microscopiche di quelle attuali – il risultato finale però sarà simile a quello di oggi e di ieri. Il contenuto più profondo dell’arte è sempre stato qualcosa che ci mette tanto a cambiare.

Il teatro in 2500 anni è cambiato di pochissimo…

F.L. Il cinema è il cugino all’avanguardia del teatro. E che si può rinnovare di più rispetto al teatro. Ma fanno parte della stessa famiglia.

Voi andate al cinema o i film li guardate su altri supporti?

F.L. Io guardo pochi film ed è un problema, ne vorrei vedere di più. Ma non ho attenzione, non ho la capacità di stare fermo a vedere un film per tre ore, anche un film bello, devo spezzarlo. E, quando non mi distraggo, vuol dire che il film è veramente un capolavoro e mi ha preso.

D.D. Ci vado al cinema ma poco. I film li vedo a casa, preferisco i film alle serie e forse la musica al cinema. La visione la concepisco più la domenica pomeriggio in un momento di relax familiare.

Eppure quest’anno c’è stato un ritorno alla sala, prima con Barbie, poi con Oppenhaimer e quindi con il film della Cortellesi.

F.L. a me è piaciuto moltissimo C’è ancora domani e poi si ispira ad un capolavoro come Una giornata particolare. Soprattutto nel rapporto tra i due protagonisti, la Loren e Mastroianni.

Il film della Cortellesi è un buon film ma è tutto un po’ “spiegato”.

F.L. Anche un film che “imbocca” lo spettatore ma affronta  temi importanti e lo fa bene, è giusto che abbia successo, anche se contestualizzato a questa epoca di “sempliciotteria”.

Ragazzi, speriamo di vedervi ancora per il possibile nuovo progetto, vi vogliamo come almeno come consulenti!

F.L. L’anno prossimo avremo terminato il liceo ma collaboreremo con grande piacere. Soprattutto se vi serve una mano in scrittura e regia e sul set. Vogliamo fare esperienza possibile di pratica cinematografica!